Questo articolo è pensato per essere letto bevendo una Brooklyn Lager.
Se lo leggete di pomeriggio, anche due.
Sbarcare, da una baita in montagna, direttamente all’aeroporto di New York. È così che inizia Tutte le mie preghiere guardano verso ovest, il nuovo libro di Paolo Cognetti, edito per l’appena nata collana Allacarta di Edt, che si pone l’obiettivo, con un formato tascabile e un prezzo affrontabile da tutte le tasche, di raccontare città e luoghi attraverso un senso a livello narrativo spesso poco sfruttato: il gusto. Ogni viaggio una storia, ogni storia un piatto recita il claim di collana che presenta, tra i primi autori, anche Marco Malvaldi e Davide Enia.
A Paolo Cognetti, che a New York aveva già dedicato un libro per LaTerza, il compito di farci conoscere la città attraverso un vagabondaggio solitario tra un quartiere e l’altro, seguendo la diverse influenze culinarie di una metropoli che è stata porto, e meta, di molti tipi di immigrazioni differenti, capaci di colonizzare, e fare in qualche modo loro, diversi quartieri.
L’architettura stessa della città cambia in base al cibo: sono ricomparsi, tra un palazzo e l’altro, e nei terrazzi di ogni forma e tipo, orti urbani, come era già successo durante gli anni Settanta o la grande Depressione. Esigenza che si sente nei periodi di crisi, quando avere una fonte di sostentamento autoprodotta è per alcuni un bisogno primario.
Il vagabondaggio di Cognetti parte da Chatham Square, la Chinatown americana, seguendo il gusto di anatra laccata e dei noodles che si possono comprare in strada. Insieme a loro ravioli di gamberi e altri cibi a basso costo, che raccontano una comunità che fa forza sulle sue usanze anche in America. Il passo successivo è scoprire l’anima ebrea della città, facendolo attraverso i suoi piatti e gli amici con cui si trova a mangiare, una compagnia formata per metà da emigranti italiani e metà da arzilli anziani di origine ebraica, che ad ogni cena non perdono occasione per prendersi in giro. È il turno di girare in bici, su rotaie e a piedi per assaggiare panini al pastrami, un arrosto marinato e affumicato, chiuso tra due fette di pane di segale, e spesso servito insieme a un cetriolo sotto aceto, tagliato in quattro, e della senape, capaci di creare nel loro insieme un sapore che, quando si espande in bocca in tutte le sue sfumature, richiama tempi e luoghi lontani. Un gusto che ormai si associa a New York, anche grazie (o per colpa di) una celebre scena del film Harry ti presento Sally.
Ma l’America, spiega Cognetti, è soprattutto carne, bistecche medium rare e hamburger, mangiati in diner, carrozze ristoranti riqualificate che sorgono in mezzo ai grattacieli. Ed è forse l’hamburger il cibo per eccellenza stelle e strisce, come spiega Paolo: “Ma io al diner ci vado per l’hamburger e lo voglio così: con pomodoro, lattuga e cipolla, la senape e non il ketchup, doppio strato di monterey jack, un cetriolo in salamoia accanto, contorno di patatine. Le patate mi ricordano di essere sulle strade degli irlandesi; il cetriolo che New York è una città ebraica; il cheddar che qui gli italiani non sono mai riusciti a importare del buon formaggio. E poi la carne, naturalmente: la carne è l’America. Per questo deve grondare sangue.”
La città che vive Cognetti è anche quella del McSorely, il pub irlandese in cui si rifugia, al riparo dei suoi capelli rossi, per scrivere e prendere appunti. Un pub che mantiene la sua storia senza volerla cambiare di una virgola, dove il figlio del proprietario, dopo la morte del padre, conserva le pareti esattamente come le ha ereditate, quasi fossero un santuario a suo ricordo. Lì si trovano solo due birre, la chiara e la scura, inutile perdersi in tanti fronzoli e chiedere altro. Ma c’è anche la New York che si ferma nel giorno del Ringraziamento, per cucinare tacchini e passare qualche ora in famiglia, o quella che si vede sfilare dal fiume, con una prospettiva inusuale, scorrendo con gli occhi palazzi e fabbriche ormai dismesse, come la Domino Sugar, che occupa tra l’altro la copertina del libro, e racconta di quando lo zucchero, e chi lo lavorava, erano uno dei mille cuori pulsanti della città.
Finendo di leggere Tutte le mie preghiere guardano verso ovest si ha l’impressione che la storia di New York raccontata attraverso il suo cibo illustri di più dei suoi monumenti. Seguendo le sue specificità culinarie si conosco i quartieri e gli angoli, le persone che l’hanno vissuta, i suoi odori e suoi colori. Emerge una città di emigranti, la meno americana tra le americane, fatta di mare e di fiume, di mercati e piazze, e che contiene al suo interno, più di altre metropoli, una serie di microcosmi che creano, insieme, un’armonia capace di suonare in maniera unica.
Paolo Bottiroli
la foto in copertina è di hobvias sudoneighm pubblicata su licenza CC.